Stanza 3 - Il Latte

La terza sala è dedicata alla lavorazione del latte, per la produzione del formaggio, del burro e della ricotta.

All’inizio del ventesimo secolo in valle esistevano diciotto latterie, molte rimasero attive fino al 1976, quando il terremoto segnò la rottura con il mondo dell’allevamento e della fienagione.

La lavorazione del latte

Il latte veniva munto due volte al giorno: la mattina presto, verso le sei, e la sera al tramonto. Messo da parte il quantitativo che serviva per colazione e cena, il resto del latte veniva portato alla latteria sociale. Il contadino portava il latte che veniva pesato: il casaro segnava la quantità di latte consegnato in un libretto. Prima della pesa, a volte, il latte veniva analizzato per verificare che il contadino non avesse aggiunto acqua.

Quindi, il latte, filtrato da un setaccio per eliminare corpi estranei, era versato in recipienti di rame, lunghi e stretti, che venivano poi posti in una vasca di acqua corrente per conservarne in fresco il contenuto. Lì il latte rimaneva almeno per dodici ore, finché affiorava la panna che veniva tolta e versata nella zangola per fare il burro.

La zangola è una sorta di botte, sistemata su un basamento. La panna era versata nel cilindro attraverso un bocchettone che veniva ermeticamente chiuso. Si faceva poi girare la botte, a mano, in due persone, o in tempi più recenti meccanicamente. Così la panna veniva sbattuta finché diventava burro.

Il burro veniva rimosso e sistemato in appositi stampi con disegni intagliati sul coperchio e sui lati. Si usavano motivi artistici diversi, una vacca, un fiore, o una figura di montagna, che si imprimevano sui pani di burro che avevano un peso di un kg o mezzo kg. Il prelievo del burro avveniva di solito la sera ed il quantitativo ricevuto dal contadino era annotato sul libretto.

Il latte scremato, invece, veniva versato nell’ampia caldaia di rame che funzionava con il sistema svizzero a carrello: le caldaie erano fisse mentre il fornello col fuoco era mobile. Dopo aver acceso il fuoco sul fornello mobile, il casaro scaldava il latte fino a raggiungere una temperatura di circa 42°C (per verificare la temperatura, egli immergeva un termometro nel latte). Raggiunta la temperatura, il casaro spostava il fornello girando una manovella e lo posizionava sotto la caldaia centrale, quella più piccola, la quale conteneva dell’acqua utilizzata per le pulizie.

Al latte portato a temperatura era aggiunto il caglio, per la preparazione della cagliata. Poiché il latte coagulava prima in superficie, mentre in basso restava in gran parte liquido, il casaro interveniva con un frustone, un grande telaio rettangolare attraversato da corde sottili come quelle di un’arpa, che permetteva di sminuzzare lo strato superficiale fino ad avere una massa omogenea in tutto il calderone.

Questo prodotto veniva nuovamente scaldato col fornello: tale fase di cottura si completava al raggiungimento dei 50°C circa. Il coagulo veniva poi estratto con le tele e messo in stampi di legno rotondi. Il formaggio veniva pressato con un torchio manuale per una giornata, in modo che prendesse la caratteristica forma tonda. Successivamente si procedeva alla salatura in salamoia. La stagionatura avveniva ponendo su tavole di legno le forme di formaggio per favorire la conclusione dei fenomeni fermentativi.

Il prodotto che avanzava dall’estrazione con le tele veniva introdotto nella scrematrice, una macchina centrifuga che separava il siero dalla panna, la quale veniva a sua volta raccolta in un recipiente. Il giorno successivo, la panna veniva introdotta nella zangola a botte e sbattuta per fare altro burro.

Il siero separato dalla scrematrice veniva solitamente dato ai contadini per nutrire i maiali.

Le malghe

Nelle malghe, per preparare il burro si versava la panna nella zangola, un contenitore a doghe di forma cilindrica. Il coperchio munito di manico presentava un foro al centro in cui far passare l’asta di uno stantuffo che reca all’estremità alta l’impugnatura per agitare e a quella bassa, nel cilindro, un disco di legno di diametro di poco inferiore a quello interno del cilindro.

Una volta versata la panna, il cilindro veniva chiuso col coperchio e lo stantuffo, dopodiché si cominciava a sbatterla agitando lo stantuffo. La conversione in burro richiedeva circa un paio d’ore di continua agitazione.

Il burro che per evitare diventasse acidulo veniva messo sul fuoco e fuso, poteva essere conservato in contenitori di pietra di forma cilindrica con il fondo panciuto e poi coperti da un coperchio di legno oppure in recipienti di terracotta.

Per quanto riguarda la preparazione del formaggio nelle malghe, una volta preparata la cagliata la si rompeva utilizzando un rudimentale bastone in frassino che al vertice presentava una forcella doppia oppure si adoperava un’asta lunga un metro e trenta con all’estremità dei perni di una decina di centimetri fissati in tutte le direzioni. Il caglio veniva preparato in casa seccando lo stomaco del capretto o dell’agnello o del vitello.

Nelle malghe si preparava anche la ricotta. Dopo l’estrazione del formaggio rimaneva il siero. La caldaia veniva posizionata sul fuoco e si attendeva che il siero cominciasse a bollire. Appena si formava sulla superficie una densa schiuma si versava lungo il bordo dell’acqua fresca con del sale o dell’aceto. Una reazione chimica faceva salire in superficie la ricotta che veniva poi raccolta con il mestolo simile alla spannarola e sparsa su un tavolo. Con la pressione delle mani veniva dapprima fatto scorrere il siero in eccesso e poi si condiva il tutto con del sale e dei granelli di pepe. Per conservare la ricotta la si pressava in dei recipienti di pietra e la si ricopriva con delle foglie di pannocchie ammollate nell’acqua.

Multimedia

Nell’installazione multimediale sono presenti alcuni interessanti filmati inerenti:

  • La lavorazione del latte fatta in casa dall’ultimo casaro della valle, Albino Micottis
  • La vita in malga a Chisalizza/Kisalica raccontata da Valenzio Culetto
  • La tradizione del Pust, il Carnevale ancora oggi vivo nella frazione di Micottis. Un tempo, durante tutto il Carnevale, gli uomini si riunivano a preparare abiti, dialoghi, scene e gareggiavano a chi più poteva fare per rendere, l’ultimo giorno di Carnevale, indimenticabile almeno per un anno. Tutti i fatti, più o meno riprovevoli, accaduti o si supponeva sarebbero dovuti accadere durante l’anno trascorso nelle frazioni, venivano rievocati, rinfacciati, rappresentati con scene dal vero. In Alta Val Torre tale scenette erano rappresentate in piazza, nelle valli del Cornappo si inscenavano nelle case più capienti.
  • La tradizione del Pust, Carnevale a Cergneu
  • La tradizione del falò di San Giovanni a Musi
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